L’amante senza fissa dimora

Trama

Novembre. Mr. Silvera, guida turistica che accompagna un gruppo di persone a Venezia, incontra una ricca antiquaria romana in viaggio per lavoro. Lui è sfuggente ed enigmatico, lei è sposata, colta, curiosa e piena di vita. Fra i due nasce una relazione, destinata a concludersi in fretta a causa di uno sconvolgente segreto di Mr. Silvera.

 

Commento

L’amante senza fissa dimora (1986) è un’opera di Carlo Fruttero e Franco Lucentini. Non ci si lasci fuorviare dal titolo: non si tratta di un romanzo rosa, perché la vicenda sentimentale è soltanto lo sfondo per un’affascinante narrazione che si dipana a più livelli. Al centro della storia, infatti, c’è un mistero, un’antica leggenda che il lettore può scoprire soltanto alla fine, ma sulla scena si muovono e s’incontrano vari personaggi, ben delineati grazie a un’ottima capacità di indagine psicologica e sociologica, spesso accompagnata da un tocco di sapiente ironia. E sono personaggi che, tutti insieme, formano un interessante campionario di varia umanità, come, ad esempio, i viaggiatori scortati da Mr. Silvera:

In ogni comitiva c’è sempre un’adolescente che s’innamora di Mr. Silvera, sempre un paio di anziane signorine d’inesauribile energia, sempre una coppia di coniugi litigiosi, sempre un’ipocondriaca, sempre un pignolo saccente e scontento di tutto, sempre un ficcanaso pettegolo. È come viaggiare con un campionario, pensa Mr. Silvera (p.16).

E poi c’è Venezia, anch’essa protagonista. Venezia a novembre – malinconica, buia, decadente – è la condizione stessa di possibilità di una trama interamente giocata sul mistero, sull’elusività, sull’incertezza:

Strada facendo avevo scoperto una Venezia ovvia eppure a me […]del tutto ignota. Una Venezia di frequentissimi anfratti, portichetti, angoletti oscuri, minuscoli campielli deserti, calli quasi segrete, di cui sarebbe stato delittuoso non approfittare […] (p.117).

 

Perché leggere questo romanzo

– per immergersi nella raffinata trama di una scrittura elegante, caratterizzata da uno stile sontuoso ma non barocco, e da una non comune ricchezza lessicale. Perché è bello volare alto ed evitare di appiattirsi nella palude della mediocrità, specialmente in un’epoca come la nostra, in cui si assiste spesso a un’eccessiva semplificazione della lingua scritta.

– per la sottile analisi dei tanti personaggi, attuata attraverso gesti, rapide occhiate, frasi, inaspettate suggestioni, ossia attraverso quegli effetti indiretti che soltanto i bravi scrittori e le brave scrittrici sanno creare.

– per l’atmosfera decadente, romantica e poetica di Venezia, colta in un malinconico mese d’autunno e catturata nei suoi angoli più remoti, lungo le vie meno frequentate, davanti ai suoi tanti portoni sbreccati.

– perché è ambientato negli anni Ottanta del secolo scorso, ossia nel passato prossimo, e descrive con garbata ironia un fenomeno  come quello dei viaggi organizzati low cost, già diffuso in quel periodo e ormai diventato parte integrante del nostro attuale stile di vita.

– per la profonda consistenza di tante riflessioni, sparse nel romanzo come gemme preziose da cogliere senza indugio. Come quella della protagonista che, a proposito di se stessa, ammette: mi avvilisce l’idea – ma non è propriamente un’idea, è come una cicatrice d’idea – di aver malamente tradito me stessa. Né mi consola pensare che non soltanto la mia, ma qualsiasi vita è così: un premere formicolante, incalcolabile, che poi, messo alle strette, si risolve in rivoletti incolori (p.131).

La suora giovane

Trama

Torino, dicembre 1950. Antonio Mathis è un impiegato quarantenne che trascorre la sua esistenza prigioniero di una routine asfissiante, fatta di un lavoro ripetitivo, di una relazione grigia e meschina con Anna, di un rapporto ambiguo con la collega Iris. Ma qualcosa di nuovo irrompe nella sua vita: è l’incontro con una giovanissima novizia, Serena. Per lungo tempo, ogni sera alla stessa ora, Antonio e la misteriosa ragazza si trovano ad aspettare il medesimo tram e non si parlano; ma l’interesse è reciproco e così, finalmente, Antonio rompe il ghiaccio. In una lunga conversazione notturna, che avviene nel palazzo in cui la novizia assiste un uomo morente, emergono i sogni della ragazza, che non vuole diventare suora, non vuole tornare a Mondovì – il suo paese d’origine – ma desidera sposarsi. Antonio si lascia travolgere da un innamoramento inaspettato che lo atterrisce, finché la giovane d’improvviso scompare. L’uomo va a cercarla a Mondovì e, parlando con i  genitori di Serena, contadini distrutti  dalle fatiche di un’esistenza grama, scopre alcune scomode verità.

 

Commento

Pubblicato per la prima volta nel 1959La suora giovane è un bellissimo, intenso, breve romanzo di Giovanni Arpino. La vicenda, raccontata dal protagonista sotto forma di diario, si dispiega lungo un breve arco di tempo, fra il 10 dicembre del 1950 e il 2 gennaio 1951. Antonio è il paradigma dell’inetto, del timoroso, del conformista inserito nell’agghiacciante meccanismo di un’esistenza incolore, da cui si lascia dominare passivamente:

Non ricordo un amore da ragazzo, se non stupidaggini o porcherie. Ho dimenticato persino i nomi di qualche lontana amicizia. Ma quanti saranno con me?
Non ho mai fatto politica, non sono sportivo, non sono buono a spingermi, nelle vacanze, dove altri vanno, magari faticosamente, pur di vedere, toccare con mano, curiosare.
Non so niente. I giorni mi sono scappati via come le notizie dei giornali, a cui credi e non credi […].

Così, quando scopre di provare un forte interesse per questa piccola suora sconosciuta, è sconvolto: per un uomo di quarant’anni, che ha sempre cercato di stare nell’ordine, è una brutta storia.

Serena è, all’inizio, una figura senza voce che impariamo a conoscere attraverso le parole e l’emotività di Antonio. Quando poi, dopo una lunga attesa, i due si parlano, la ragazza svela  tutta la sua inaspettata vitalità, la sua ansia di vivere, i suoi tanti sogni, la sua intelligenza. Travolge Antonio con un fiume di parole ed è sincera nel mettere in luce anche le miserie della sua esistenza. Ma c’è un problema: Serena ha fretta, mentre Antonio è vittima della propria insicurezza e ha una fidanzata-amante di cui vuole liberarsi.

I personaggi di contorno sono delineati con precisione chirurgica attraverso poche frasi e alcuni gesti che ne ritagliano impietosamente la grigia mediocrità. A questo riguardo è emblematica la cena della vigilia di Natale, che Antonio trascorre con Anna, Iris e il volgare collega Mo, e che disgusta il protagonista in maniera irreversibile, mostrandogli tutto lo squallore di chi lo circonda e della sua stessa esistenza.

La vicenda di Antonio è accompagnata in ogni istante dall’atmosfera invernale che avvolge Torino, altra grande protagonista di questo romanzo. E spesso è una Torino notturna, sferzata dal gelo, ostile, con strade ghiacciate e deserte:

Aveva nevicato, le strade erano lame di ghiaccio, i fili della luce pendevano lampeggiando, la seguivo in un quartiere che conosco appena […]. Camminava una ventina di metri davanti a me, attenta al marciapiedi ghiacciato.

Questo ghiaccio e questo freddo tagliente si adattano a un personaggio che teme persino la sua ombra, che si vergogna del sentimento che prova e che cerca disperatamente una via per costruirsi una nuova esistenza:

Le sette. Devo uscire. Ci fosse almeno gran nebbia lungo il viale: mi sentirei più protetto. Perché ho anche paura degli altri, di occhi curiosi che mi sorprendano. Certamente anche lei ha questa paura.
Il corso solitamente è deserto, con luci fioche che oscillano al vento invernale, non c’è che un caffè, lontano, e il largo davanti alla Chiesa della Gran Madre che luccica di intrichi di rotaie. Ma quando sono su quella pedana mi pare che milioni d’occhi spiino dalla siepe lungo il fiume, dalle cupole secche degli alberi, mi pare che tutto il mondo trattenga il fiato per sorprendermi e balzarmi addosso.

Perché leggere questo romanzo:

– per la bellezza dello stile, asciutto, elegante, con una sintassi semplice e un tono a volte così concitato da far emergere con maestria l’ansia  ricorrente e la profonda lacerazione interiore del protagonista.

– per la possibilità di tuffarsi nell’Italia degli anni Cinquanta del secolo scorso – l’Italia del dopoguerra – e scorgerne alcuni valori, stili di vita e aspirazioni. La buona letteratura, infatti, non è soltanto un’impresa artistica, ma è anche storia, costume, filosofia, psicologia, sociologia. Inoltre l’Italia di quasi settant’anni fa è l’Italia dei nostri genitori o dei nostri nonni, il mondo da cui proveniamo; e conoscere il nostro passato prossimo ci consente di comprendere meglio il presente e di attuare confronti, porsi domande, rivedere certe nostre convinzioni.

– perché descrive con spietato realismo i vuoti conformismi e le meschine banalità che avviluppano certe esistenze, soffocandole, svuotandole di significato.

– perché il finale svela ciò che spesso non vogliamo né vedere né sapere, e cioè che l’amore, quello vero e quindi raro, rende generosi, aperti e solidali.

Per ricordare Alda Merini

alda
Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.

Alda Merini, da Vuoto d’amore
_____________

Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia.

Alda Merini, Alla tua salute, amore mio

Sovrumana dolcezza

mazzo
Sovrumana dolcezza
io so, che ti farà i begli occhi chiudere
come la morte.

Se tutti i succhi della primavera
fossero entrati nel mio vecchio tronco,
per farlo rifiorire anche una volta,
non tutto il bene sentirei che sento
solo a guardarti, ad aver te vicina,
a seguire ogni tuo gesto, ogni modo
tuo di essere, ogni tuo piccolo atto.
E se vicina non t’ho, se a te in alta
solitudine penso, più infuocato
serpeggia nelle mie vene il pensiero della carne, il presagio

dell’amara dolcezza,
che so che ti farà i begli occhi chiudere
come la morte.

di Umberto Saba (1883-1957)

(Tratta da:
Umberto Saba, Il Canzoniere, Torino, Einaudi, ed. del 1961)

Mia cugina Rachele


L’autrice di questo romanzo è Daphne Du Maurier, estremamente nota al pubblico per aver scritto La prima moglie, un libro da cui fu tratto un celebre film per la regia di Alfred Hitchcock.
Mia cugina Rachele è una cupa vicenda la cui protagonista femminile ha un carattere indecifrabile e, per alcuni aspetti, inquietante. Ambrose Ashley, un ricco proprietario terriero che vive in Cornovaglia insieme al nipote adottivo Philip, parte per l’Italia in seguito a problemi di salute. A Firenze conosce Rachele, una sua lontana parente, rimasta vedova in giovane età. Improvvisamente, Philip riceve una lettera che gli annuncia l’avvenuto matrimonio fra Ambrose e questa donna.

Dopo poco più di un anno dalle nozze, Ambrose si ammala gravemente e in breve tempo muore a Firenze. Philip inizia così a nutrire alcuni sospetti nei confronti di Rachele, considerandola responsabile di quest’improvviso decesso. Ma quando d’improvviso la donna giunge in Inghilterra, Philip è costretto a ospitarla e, contrariamente a ogni sua aspettativa, ne rimane affascinato.
Durante il suo soggiorno in Cornovaglia, la personalità di Rachele si rivela complessa e a tratti sfuggente. Capace di tenere manifestazioni d’affetto ma anche di repentini scatti d’ira, enigmatica in alcuni suoi discorsi, elegante e raffinata, saggia e ironica, dolce ma nel contempo autoritaria, a poco a poco manifesta uno dei suoi difetti maggiori: la prodigalità. A volte sembra disinteressata nei suoi sentimenti verso Philip, altre volte, invece, appare fredda e calcolatrice. Instaura così un rapporto ambiguo con il ragazzo, il quale ne resta talmente soggiogato da perdere completamente la testa, e da diventare fin troppo generoso nei suoi confronti.
Ma certe lettere di Ambrose, scritte durante la sua malattia e trovate per caso dal nipote, gettano terribili ombre sulla figura di Rachele, ombre che, unite alla passione frustrata di Philip e al non limpido comportamento della donna, conducono a un tragico epilogo.

Due sono i pregi fondamentali di questo romanzo, almeno a mio parere: la sapienza con cui viene tratteggiata l’affascinante e pericolosa ambiguità di Rachele, tanto che, alla fine dell’opera, è impossibile comprendere se sia stata davvero responsabile della morte del marito, e la bravura con cui viene mostrata la natura puramente soggettiva della passione amorosa, tale da trasfigurare l’immagine della persona amata in un ideale che non trova corrispondenza nella realtà. Philip, con la sua inesperienza, impara a sue spese quest’amara lezione: è impossibile conoscere veramente chi ci sta accanto.
Dal libro è stato tratto anche un film del 1952 intitolato come il romanzo, Mia cugina Rachele, e interpretato da Richard Burton e Olivia De Havilland.

Un amore di Swann

proust
Oggi trascrivo un brano tratto dalla Recherche, capolavoro di Marcel Proust. Riportare soltanto un brevissimo stralcio di un’opera tanto complessa e geniale significa attuare una violenza su di essa. Tuttavia, anche un’operazione così discutibile può essere utile se diventa uno stimolo per la lettura della Recherche, splendido frutto della fatica di un eccellente scrittore.

Il brano è tratto dal racconto in terza persona intitolato Un amore di Swann, che fa parte della Recherche e narra la storia d’amore fra Charles Swann e Odette de Crècy.
Riporto la parte finale del racconto, amara nel suo spietato realismo.

Ma mentre, un’ora dopo essersi svegliato, dava indicazioni al parrucchiere perché la sua pettinatura a spazzola non si scompigliasse durante il viaggio, ripensò al sogno, rivide, vicinissimi come gli erano parsi, il colorito pallido di Odette, le gote emaciate, i lineamenti tirati, gli occhi pesti, tutti quegli elementi che – nel corso delle successive tenerezze che avevano fatto del suo durevole amore per Odette un lungo oblio dell’immagine avutane all’inizio – aveva smesso di notare dopo i primi tempi della loro relazione, là dove, mentre dormiva, la sua memoria era certo andata a ricercarne la sensazione esatta.
E con quella grossolanità intermittente che riaffiorava in lui non appena finiva d’essere infelice e che, contemporaneamente, abbassava il livello della sua moralità, esclamò fra sé: “E dire che ho sciupato anni della mia vita, ho desiderato di morire, ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva, che non era il mio tipo!”.

(L’edizione del testo è curata da Giovanni Raboni per la Mondadori).

Washington Square

james
Il dottor Sloper è un uomo ricco, arguto, intelligente e profondamente disancantato, capace di giudicare cose e persone con freddo realismo.
Ecco un dialogo che si svolge fra lui e sua sorella, la signora Penniman. I due parlano di Catherine, la figlia del dottor Sloper, che in questa parte del romanzo ha dodici anni.

– Cerca di farne una donna in gamba, Lavinia; vorrei che fosse una donna in gamba.
La signora Penniman lo guardò pensierosa un momento.
– Mio caro Austin – gli domandò poi – pensi che sia meglio essere in gamba o buona?
– Buona a che cosa? – chiese il dottore- Non sei buona a niente se non sei in gamba.

(Testo di riferimento: Henry James, Washington Square, Bur, 1999. In foto l’edizione tascabile Garzanti)

Frammenti tratti da “Via col vento” (III)


Rossella, rimasta vedova subito dopo il suo primo matrimonio, si trova ad Atlanta. Al ballo di beneficenza in favore dell’ospedale militare, desta scandalo perché, ancora in lutto, accetta di danzare con Rhett Butler.
Ecco un breve stralcio del dialogo che si svolge fra i due mentre ballano
.

Rossella – Non tutto si può comprare col denaro.

Rhett – Questo deve averlo detto qualcuno. Non avreste mai pensato da sola una simile insulsaggine. Che cosa non si può comprare?

Rossella – Mah, non saprei…Per esempio, la felicità o l’amore.

Rhett – Di solito si può comprare anche quello. E quando non si può, si compra qualcuno dei migliori surrogati.

Frammenti tratti da “Via col vento” (II)


Rossella ha sposato Frank Kennedy e ha appena avuto una bambina. Seduta in giardino, con la piccola in braccio, riceve una visita di Rhett. Durante la loro lunga conversazione, a un certo punto parlano di Ashley e Rhett lo definisce un uomo completamente a terra, ammettendo di disprezzarlo per la sua incapacità ad affrontare una realtà che ormai gli è diventata profondamente estranea: la dura realtà seguita alla sconfitta nella Guerra Civile.
Rossella si arrabbia, perché Rhett la biasima per aver affidato ad Ashley la gestione di uno stabilimento di legname, stabilimento aperto da Rossella proprio grazie a un prestito ricevuto da Rhett.

Ecco uno stralcio del loro dialogo a riguardo.

Rossella: Eppure avete aiutato me, mentre anch’io ero a terra.
Rhett: Ma voi, mia cara, eravate un rischio interessante. Perché non vi appoggiavate ai vostri parenti maschi singhiozzando nel rimpianto degli antichi tempi. Vi siete drizzata e vi siete fatta avanti a gomitate; la vostra fortuna è stata solidamente fondata sul denaro rubato al portamonete di un morto e a quello rubato alla Confederazione. Avete al vostro attivo un omicidio, il furto di un marito, un tentativo di prostituzione, e poi menzogne e durezze ed altre cose che richiederebbero un esame accurato…

Frammenti tratti da “Via col vento”

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Rhett Butler fa visita a Rossella dopo la morte di Frank Kennedy. Rossella piange, per la prima volta tormentata dai rimorsi perché teme di andare all’inferno, vista la sua discutibile condotta nei confronti del marito ormai defunto.
Durante il loro dialogo, Rhett le ricorda il suo tentativo di “prostituzione”: infatti Rossella aveva cercato, prima di sposare Frank, di vendersi a Rhett pur di ottenere i trecento dollari utili a pagare le tasse di Tara.

Ecco le parole fra i due, tratte dal libro di Margaret Mitchell.

RhettAndiamo! Dal momento che vi state confessando, tanto vale che diciate tutta la verità, piuttosto che una decorosa menzogna. Ditemi un po’:la vostra…hm…coscienza vi ha mosso molti rimproveri quando voi avete offerto…come vogliamo dire?…quel tesoro che è più caro della vita, per trecento dollari?

RossellaVeramente non ho pensato a Dio in quel momento…né all’inferno. E quando ci ho pensato…ho calcolato che Dio avrebbe compreso.
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RossellaE’ un male essere opportunista?

RhettE’ sempre stata ritenuta una cosa vergognosa…specialmente da quelli che hanno avuto le stesse opportunità e non le hanno colte.
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Un altro momento. Rossella ha appena sposato Frank Kennedy e incontra Rhett per la prima volta dopo il tentativo di vendersi a lui per ottenere i soldi utili a pagare le tasse di Tara. Iniziano un lungo dialogo durante il quale Rhett si rende disponibile a prestarle il denaro per comprare la segheria. A un certo punto, viene nominato Ashley.

RhettQuest’amore purissimo m’interessa…

RossellaSmettetela, Rhett. Se siete tanto abietto da credere che fra noi vi sia stato qualcosa di male…

RhettVeramente non ne sono mai stato convinto. Ed è questo che m’interessa. Perché non vi è mai stato nulla di male tra voi?

RossellaSe credete che Ashley sarebbe stato capace…

RhettAh, dunque è stato lui che ha lottato in nome della purezza. Ma davvero, Rossella, non dovreste abbandonarvi così facilmente!